Nel fascicolo occipitale verticale la ragione dei misteri della visione della profondità

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XV – 24 novembre 2018.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

La neurofisiologia binoculare consente la visione stereoscopica o stereopsia[1], caratteristica della percezione umana e di altri mammiferi, e considerata una conseguenza evolutiva della visione frontale associata ad una decussazione incompleta attraverso il chiasma[2]. Le basi di tale abilità, associata al rilievo della profondità, sono state indagate ed analizzate approfonditamente nel tempo; tuttavia, questa notevole mole di lavoro non è risuscita a spiegare sulla base di prove sperimentali perché la stima discriminata della profondità (stereoacuità) possa variare in modo così evidente da una persona all’altra, e molto più di altri parametri della percezione visiva.

Dalle osservazioni sperimentali più significative si è dedotta la partecipazione nei meccanismi della stereopsia delle aree visive sia dorsali che ventrali. Tali studi suggeriscono che il processo della visione stereoscopica non dipenda soltanto dalle computazioni neurali operate dalle cellule nervose delle aree della corteccia cerebrale implicate nell’elaborazione visiva, ma anche dalle proprietà anatomiche dei tratti di sostanza bianca che realizzano le connessioni fra queste aree. Su questa base, Oishi e colleghi hanno analizzato i rapporti fra la stereoacuità umana e le proprietà della sostanza bianca. Le proprietà microstrutturali di un tratto di sostanza bianca, la cui esistenza era rimasta a lungo controversa e solo di recente è stata provata con assoluta certezza, ossia il fascicolo occipitale verticale[3], si sono rivelate in stretta correlazione con le misure di stereoacuità.

(Oishi H., et al. Microstructural properties of the vertical occipital fasciculus explain the variability in human stereoacuity. Proceedings of the National Academy of Sciences USA – Epub ahead of print doi: 10.1073/pnas.1804741115, Nov. 14, 2018).

La provenienza degli autori è la seguente: Center for Information and Neural Networks (CiNet), National Institute of Information and Communication Technology and Osaka University, Suita (Giappone); Graduate School of Frontier Biosciences, Osaka University, Suita (Giappone).

La percezione della profondità è importante soprattutto perché contribuisce alla nostra capacità di distinzione dell’oggetto dallo sfondo, e merita di essere conosciuta perché aiuta a comprendere aspetti rilevanti dei meccanismi della visione.

Un’importante informazione per la percezione della dimensione profonda del volume di spazio catturato dallo sguardo è costituita dalla differenza tra le immagini dell’ambiente che si formano sulle due retine: uno scarto, rispetto alla simmetria generale, specificamente elaborato dal cervello come informazione dimensionale. L’integrazione dell’input binoculare comincia nella corteccia visiva primaria (V1 o area 17), il primo livello al quale i neuroni ricevono informazioni da entrambi gli occhi. L’equilibrio delle informazioni provenienti dalle retine dei due lati, una proprietà studiata come dominanza oculare, varia tra le cellule in V1.

Questi neuroni sono anche selettivi per la profondità, che è calcolata in base alla posizioni retiniche relative di oggetti posti a distanze differenti dall’osservatore. Ad esempio, un oggetto posto sul piano di fissazione produce immagini alle posizioni corrispondenti sulle due retine; le immagini di oggetti che giacciono anteriormente o posteriormente al piano di fissazione cadono su siti retinici lievemente diversi nei due occhi. I singoli neuroni della corteccia visiva sono selettivi per un raggio ristretto di tali disparità. Alcuni sono selettivi per gli oggetti posti sul piano di fissazione (tuned excitatory o inibitory cells), mentre altri rispondono soltanto per gli oggetti posti davanti al piano di fissazione (near cells) o dietro questo piano (far cells).

Mentre la profondità di un singolo oggetto, con questo meccanismo fisiologico, può essere stabilita facilmente, determinare la profondità di molti oggetti all’interno di una scena costituisce un problema realmente complesso, che richiede l’associazione delle immagini retiniche di tutti gli oggetti formate nei due occhi. Il calcolo della disparità è perciò di tipo globale: il calcolo di una parte dell’immagine visiva influenza il calcolo delle altre parti. Si è scoperto che, quando la definizione della profondità in una parte dell’immagine non presenta alcuna ambiguità, ossia è certa, il cervello impiega questa informazione per calcolare la profondità delle altre parti, dalle quali provengono dati insufficienti: tale fenomeno è definito cattura della disparità.

I rapporti fra stereoacuità umana e proprietà della sostanza bianca emisferica, studiati da Oishi e colleghi, hanno rivelato l’interessante base morfo-funzionale del fascicolo occipitale verticale, che introduciamo citando un brano da un nostro precedente articolo:

In questa temperie Wernicke, nel 1881, scoprì e descrisse nella scimmia il fascicolo occipitale verticale. Si ipotizzò subito l’esistenza nell’uomo di un tratto di sostanza bianca equivalente, magari con caratteristiche indicanti un maggior grado di evoluzione.

Nel 1888 Obersteiner individuò nella corteccia cerebrale del lobo occipitale umano un fascicolo verticale analogo a quello descritto da Wernicke nella scimmia.

Si tratta di una formazione che, per dimensioni e posizione anatomica, può essere inclusa fra le connessioni principali, estendendosi dalla corteccia visiva dorsolaterale a quella ventrolaterale, ponendo così in comunicazione tra loro due sistemi legati alla fisiologia della visione, ma bene individuati da ruoli diversi ed apparentemente indipendenti.

A questo punto, interrompendo il filo di questa introduzione storica, si pone la questione problematica attuale: perché la maggior parte di neurologi, neurobiologi, studiosi della visione e cultori di neuroscienze, incluso chi sta leggendo queste parole, non conosce questo fascicolo? La spiegazione sembra avere cause remote.

Subito dopo la scoperta del fascicolo occipitale verticale cominciarono i problemi: fu messa in dubbio la sua individualità e persino la sua esistenza. Prevalendo le tesi degli scettici, ad un certo punto, si abbandonò la ricerca del suo significato fisiologico, con la conseguenza di un’eclissi del fascicolo dal focus degli interessi correnti e la scomparsa dalla materia di insegnamento accademico. La controversia, sia pure in sordina e lontano dall’attualità del dibattito neuroscientifico, è proseguita per un secolo, fino a quando, grazie alle più avanzate tecniche di indagine morfologica e funzionale, il tratto di sostanza bianca del lobo occipitale è riemerso all’attenzione dei ricercatori. […]

La XXXIX edizione del Gray’s Anatomy, l’ultima in ordine di tempo, ottima nei suoi capitoli di neuroanatomia per molte ragioni, prima fra tutte l’aver avuto come Editor-in-Chief  Susan Standring, professoressa di neurobiologia sperimentale e neuroanatomista, rappresenta un importante punto di riferimento per la morfologia del sistema nervoso in tutte le facoltà mediche del mondo. Ebbene, come si può verificare leggendo il sottoparagrafo sulle fibre di associazione nel paragrafo dedicato alla sostanza bianca degli emisferi cerebrali, il fascicolo occipitale verticale è assente[4].

Al contrario, il celebre trattato di anatomia di Testut-Latarjet, al quinto libro del terzo tomo, nella trattazione delle “Fibre di associazione proprie del lobo occipitale” indica quattro fasci così ripartiti: α) Strato calcarino; β) Fascicolo occipitale verticale; γ) Fascicolo occipitale trasverso del cuneo (di Sachs); δ) Fascicolo occipitale traverso del lobulo linguale (di Vialet). Si riportano, qui di seguito, le righe dedicate all’argomento di nostro interesse:

“β) Fascicolo occipitale verticale (detto anche fascio occipitale perpendicolare di Wernicke), collega il margine superiore del lobo occipitale alla sua faccia inferiore. Forma una specie di setto verticale teso dalla estremità del cuneo alla terminazione della scissura di Silvio. Tale parete è, necessariamente, attraversata dai fasci longitudinali che abbiamo già visto e dai fasci trasversali”[5].

Gli studi recenti che hanno esaminato l’anatomia del fascicolo occipitale verticale e il suo ruolo in rapporto alla cognizione del cervello umano in vivo, durante l’esecuzione di compiti sperimentali, sono pochissimi. Ma, sulla base di quanto emerso da queste osservazioni, si può affermare che il fascicolo occipitale verticale è l’unico fascio di fibre che connette la regione dorsolaterale della corteccia visiva con la regione ventrolaterale e, conseguentemente, i due diversi ordini di funzioni che sono sotto il dominio delle due aree della corteccia”[6].

Gli autori dello studio qui recensito, per indagare i caratteri morfologici legati alla fisiologia della connessione fra aree visive dorsali e ventrali in rapporto alla stereoacuità, hanno esaminato le proprietà della sostanza bianca combinando psicofisica, diffusione MRI (dMRI) e MRI quantitativa (qMRI). In particolare, Oishi e colleghi hanno realizzato un esperimento psicofisico per misurare la stereoacuità e, negli stessi volontari partecipanti alla prova, hanno analizzato le proprietà microstrutturali dei tratti di sostanza bianca visiva sulle basi di due tipi di misurazione indipendenti: 1) dMRI (anisotropia frazionale, FA); 2) qMRI (volume macromolecolare del tessuto, MTV).

Le proprietà microstrutturali lungo il fascicolo occipitale verticale di destra, il tratto principale del collegamento fra aree dorsali e ventrali, erano altamente correlate con le misure di stereoacuità. Questo risultato era coerente sia con la FA che con la MTV, suggerendo che il rapporto fra dimensione strutturale e dimensione comportamentale riflette differenze nella densità strutturale del tessuto, piuttosto che differenze nella configurazione neuroanatomica della fibre.

L’fMRI ha confermato che gli stimoli di disparità binoculare attivano le regioni dorsali e ventrali in prossimità del punto terminale del fascicolo occipitale verticale.

Nessun altro tratto di sostanza bianca occipitale, all’osservazione del team di Osaka, è risultato in grado di spiegare la variazione in stereoacuità.

Infine, le proprietà del fascicolo occipitale verticale non erano associate con differenze nella prestazione ad un differente compito psicofisico (rilevamento del contrasto).

Gli esiti di questi esperimenti indicano che la prestazione di discriminazione stereoscopica della profondità è, almeno in parte, parallela alla comunicazione dorso-ventrale operata dal fascicolo occipitale verticale. Ulteriori studi potranno chiarire il modo in cui questa connessione contribuisce alle marcate differenze individuali nella stima della profondità.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi

BM&L-24 novembre 2018

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Nei testi italiani si incontra sempre più di frequente la forma “stereopsi”, più prossima alla struttura verbale del termine inglese derivato dal greco (stereopsis), così reso a orecchio; trascurando, o forse ignorando, che l’adozione del termine stereopsia ha una lunga tradizione di impiego in trattati e manuali medici italiani.

[2] Gli studi morfo-funzionali comparati del passato hanno evidenziato incongruenze per questa ipotesi. Infatti, se è vero che lo scimpanzé e l’uomo condividono la posizione frontale dei globi oculari e la presenza di un contingente di fibre provenienti dalla retina che decorre omolateralmente dal lato temporale, nel coniglio si ha un incrociamento completo, a differenza del topo e della cavia; d’altra parte, in una specie aviaria quale quella della civetta, nonostante la disposizione frontale dei globi oculari, non si verifica l’incrociamento parziale.

[3] Note e Notizie 29-11-2014 Il fascicolo occipitale verticale esiste: risolta una controversia durata un secolo.

[4] Cfr. Gray’s Anatomy – The Anatomical Basis of Clinical Practice (Susan Standring, Editor-in-Chief), p. 411 (in “Association Fibres”), Elsevier (Churchill-Livingstone), 2005.

[5] L. Testut e A. Latarjet, Trattato di Anatomia Umana – Anatomia descrittiva e microscopica – Organogenesi (in 6 voll.) III volume: Sistema Nervoso Centrale - Ghiandole a Secrezione Interna, p. 519, UTET, Torino 1972 (e seguenti).

[6] Note e Notizie 29-11-2014 Il fascicolo occipitale verticale esiste: risolta una controversia durata un secolo.